Nel mercato del lavoro è in aumento l’utilizzo dei contratti di appalto e subappalto con il risultato di avere, nei medesimi luoghi di lavoro, lavoratori provenienti da ditte diverse che non si conoscono, che hanno esperienze lavorative e cultura della prevenzione diverse.
Ed è necessario considerare alcuni aspetti che “rendono pericolosi questi incroci”.
In termini generali, il contratto d’appalto ai sensi del codice civile – salvo alcune eccezioni – è un contratto a forma libera.
Tuttavia, la giurisprudenza ci ricorda che, da un lato, alcuni vincoli relativi alla forma del contratto d’appalto sono posti da varie normative che regolamentano specifici ambiti e settori e, dall’altro, che gli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro previsti dall’art. 26 del D. Lgs. 81/2008, da cui scaturiscono determinati adempimenti, aggiungono ulteriori vincoli di forma e di sostanza di cui bisogna tenere conto.
Non solo. Allorché i lavori vengono affidati senza un contratto scritto, la domanda che ci si pone è: a partire da quando (o da quale circostanza) un lavoro, una fornitura o un servizio viene considerato “affidato”? Un appalto, la cui gestione sia compatibile con l’art.26 del D. Lgs. 81/08 dal punto di vista della sicurezza sul lavoro può essere concluso “per fatti concludenti”, cioè solo mediante l’inizio dell’esecuzione della prestazione? Queste domande sono molto importanti, in considerazione della circostanza che proprio l’art. 26 prevede che prima dell’affidamento dei lavori debba essere realizzata la selezione dell’idoneità tecnico-professionale e che prima dell’inizio dei lavori debbano essere adempiuti tutti gli altri obblighi in materia di sicurezza.
Cosa accade quando ci troviamo di fronte ad un appalto “di fatto”, cioè un appalto privo – secondo la nozione fornita dalla giurisprudenza – dei requisiti di regolarità del conferimento dell’appalto stesso (ad es. per mancanza di autorizzazione del committente al subappalto quando prevista o per irregolarità, etc. etc.)? Che ruolo ha in questo caso il principio di effettività?
Per rispondere a queste domande, è necessario prendere le mosse da 2 sentenze della Corte di Cassazione che ricostruiscono bene il quadro generale.
Cass. Pen. 17 aprile 2014 n. 17010 – La Cassazione fa una ricognizione sul concetto di affidamento, sulla forma del contratto d’appalto in relazione agli obblighi di sicurezza di cui all’art. 26 D.Lgs. 81/08 e sulla disponibilità giuridica. Dopo aver richiamato il contenuto dell’art. 26, la Corte ricorda che “l’obbligo di fornire le dettagliate informazioni ai lavoratori sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e di emergenza presuppone l’esistenza di un rapporto contrattuale d’appalto o d’opera o di somministrazione”. Se non vi è un “affidamento” dei lavori, non può ritenersi configurabile quel rapporto giuridico da cui scaturiscono gli obblighi imposti dal D.Lgs. n.81 del 2008, art.26.
Secondo la Cassazione: “sebbene l’appalto possa concludersi anche oralmente o, addirittura, per facta concludentia, tuttavia, secondo le condizioni richieste dal D.Lgs.n.81 del 2008 (art. 26, comma 3, […] In caso di redazione del documento [DUVRI, n.d.r.] esso è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture; art. 26, comma 5: Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione […] devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell’art.1418 c.c. i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. I costi di cui al primo periodo non sono soggetti a ribasso. […] A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale), è necessaria la forma scritta ad substatiam e ad probationem”.
Cass. Pen. 24.05.2022 n. 20122 – La Cassazione affronta la questione di un Appalto conferito a ditta irregolare non specializzata e senza contratto scritto e dell’obbligo di vigilanza del committente. La decisione ha confermato la responsabilità – tra gli altri soggetti – di un committente dei lavori (oltre che dell’appaltatore, quest’ultimo quale “responsabile di una ditta individuale “irregolare”), per aver omesso “di incaricare per i suddetti lavori una ditta specializzata provvista di capacità tecnico-professionali adeguate, con impianto organizzativo di prevenzione, mezzi e attrezzature adeguate e lavoratori regolarmente assunti e formati, e comunque di verificare l’idoneità del soggetto affidatario prescelto e di fornire allo stesso soggetto informazioni dettagliate sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro, in particolare sul rischio che la copertura in eternit del capannone poteva cedere sotto il peso degli operai, e sulle misure di prevenzione ed emergenza adottate in relazione alla propria attività, nonché omettendo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indicasse le misure adottate per eliminare eventuali interferenze con la propria attività lavorativa.”
La Corte ribadisce che “l’appalto (specie se conferito a ditta “irregolare” e senza contratto scritto) può solo ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita al committente datore di lavoro, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che permangano a carico del committente gli obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.”
Secondo la sentenza, quindi, il committente – anche nel caso di subappalto – è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio. Detta responsabilità investe sia la scelta dell’impresa sia l’omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il committente (o sub-committente) ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e di tutti i lavoratori coinvolti nell’attività oggetto di appalto.
A fronte delle richiamate pronunce di legittimità ed in seguito alla procedura di infrazione della Commissione europea 2018/2273, il Legislatore italiano è intervenuto sul tema del subappalto, apportando numerose modifiche alla sua disciplina. Tra queste, l’eliminazione del divieto di subappalto “a cascata” che consente al subappaltatore di affidare a sua volta all’esterno parte delle prestazioni oggetto di subappalto. Si tratta di una novità molto criticata che, da un lato, garantisce maggiore autonomia agli esecutori di lavori nella gestione degli stessi ma, dall’altro, rende più frammentaria la presenza delle imprese in cantiere, oltre al rischio di compromettere la qualità dell’opera e ridurre, soprattutto nei cantieri edili, la formazione dei lavoratori sulla sicurezza peggiorando il loro trattamento economico-giuridico.
Proprio al fine di tutelare i lavoratori dai suddetti rischi, il Nuovo Codice degli Appalti ha stabilito il principio secondo cui le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono assicurare ai lavoratori l’applicazione dei contratti collettivi di settore, anche in caso di subappalto (e, di conseguenza, di subappalto a cascata) e, conseguentemente, il subappaltatore deve riconoscere ai lavoratori lo stesso trattamento economico e normativo che avrebbe loro garantito il contraente principale.
E su questo tema, Confindustria ha realizzato una nota di approfondimento che alleghiamo a completamento della questione.